venerdì 30 ottobre 2009

La querelle e la querela

Quando la querelle diventa querela vuol dire che qualche ingranaggio democratico del convivere sociale e civile si è arrugginito, che l’autoimposta inviolabilità culturale di qualcuno diventa intransigenza, che l’intangibilità presunta della propria condotta intellettiva e morale di qualcuno si trasforma in sfacciato fondamentalismo d’altri Mondi. L’attacco di Belisario al “Quotidiano della Basilicata”, promotore principe di storia intessuta di veridicità, colpisce, per responsabilità oggettiva e volutamente soggettiva, una testata che non scrive per vendere ma che vende per quello che scrive. Ricercare la verità, inseguirla, raccontarla, liberi da condizionamenti e scevri da convincimenti è l’imperativo fondante che ogni buon giornale dovrebbe autoimporsi. Querelare il “Quotidiano della Basilicata” ha significato pretendere di demonizzare chi, in nome e per conto della verità e per amore di una cultura autonoma, indipendente e libera, ha fatto informazione cristallina, non partigiana, non retorica e non faziosa. Il giornalista non ha immunità di sorta, non ha tessere né sconti, non ha stipendi con zeri a iosa, non ha privilegi né benefici. Il giornalista è un uomo solo. Solo con se stesso, con la propria coscienza, con il sogno di una società che sappia affrancarsi dai gioghi di una bieca logica, globalizzante e massificante, fatta di qualunquismo, mediocrità, sepolture, insabbiamenti, costruzioni. Un uomo che cerca di rispondere all’esigenza di scoprire, magari provocare, informare, raccontare di una società, politica e civile, che, a quanto sembra sottoposta all’arrogante legge della sopraffazione, spesso smarrisce il senso della misura e della giustizia. Anche il senso della giustizia, quella vera che abita ogni uomo ed alberga nel suo dignitoso animo, viene ridimensionato, calpestato sottaciuto. In nome della massificante volontà del più forte, del bieco potere, di una forza compromessa e compromettente, che non è rappresentanza, che non è democrazia, che non è cosciente strumento di benefico progresso, ma che è mortificazione della natura umana e del suo intelletto. Perché quando la ricerca della verità da costruttivo confronto diventa sistematico scontro, ci si sente prigionieri di una libertà negata, di una dignità violata, di una democrazia viziata. Quella stessa democrazia viziata che Belisario ha stigmatizzato a Roma, indossando la “coppola” per lanciare un attacco frontale e giustificato a Berlusconi ed ai suoi adepti, rei di voler imprigionare ed imbavagliare la libertà di stampa. Un Belisario Bifronte che da vittima si trasforma in carnefice pretendendo di asservire, prima con una lettera poi con una querela, il racconto delle verità nascoste del suo Partito al suo giudizio o, peggio ancora, al suo volere. Comportamenti ed atteggiamenti in netto contrasto con un partito che, ad ogni latitudine ed ad ogni livello, dimostra di predicare bene e razzolare maluccio al pari del proprio leader maximo Di Pietro. Quel Di Pietro che, da anni, continua ad agitare la spada degli improbabili “Valori”, ad inveire contro i malfattori, ma che in qualità di Ministro ha consentito al suo dicastero, nel gestire gli appalti pubblici, di usare le stesse leggi che produssero quella “Dazione Ambientale” da lui stesso scoperchiata negli anni ’80 e ’90. Leggi che consentivano, stimolavano e imponevano il Malaffare. Leggi che riducevano la trasparenza ed aumentavano la discrezionalità di chi amministrava. Leggi che mortificavano la competitività soggettiva e la capacità organizzativa delle imprese. Leggi che vanificavano la libera concorrenza e promuovevano la formazione dei Clan di appartenenza (A.T.I., Consorzi di imprese e consorterie vari). Leggi che consentivano il perpetrarsi all’infinito dell’abuso d’ufficio, che peraltro non è più reato, e fornivano impunità e strapotere a chi amministrava. Leggi che non tutelavano più il bene pubblico, il cui furto non è più perseguibile d’ufficio ma solo su querela di parte, cioè querela dello stesso amministratore che ha la responsabilità del bene e che magari ne “gestisce” l’indebita appropriazione. Leggi immorali e mistificatorie, sempre più adatte per consentire l’allegra gestione delle risorse e la spartizione della torta Italia. Spolpata, dissossata, vivisezionata e polverizzata la Prima Repubblica, insomma, non sembra che si siano create le condizioni perché la Seconda si proponesse come modello migliore e maggiormente edificante. A fronte di tutto questo, parlamentari, sicuramente degni ed onesti, ma dal mandato profumatamente retribuito, inseguono beghe da botteghe? Tutto per cosa, poi? Per aver riportato, peraltro, una verità rivelata da altri? Questo è il bene che vogliamo alla nostra Democrazia? La democrazia è una conquista e, al pari della passione, non ce la toglierà mai nessuno.

Nuario Fortunato

Fonte: Il Quotidiano della Basilicata – Ottobre 2009

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