mercoledì 16 settembre 2009

Dossier sulla situazione ambientale in Val d'Agri

VAL D’AGRI – L’ultimo bilancio relativo al “Programma Operativo Val d’Agri”, che ha fatto il punto sulla situazione economico-produttiva, sull’impatto occupazionale e sulla risposta ambientale relativi all’attività estrattiva, ci ha consegnato una versione quasi paradisiaca della Val d’Agri in termini di crescita occupazionale, di indotto economico, di propulsione produttiva e di qualità della vita. Le relazioni inerenti questi vari aspetti, tradottesi entusiasticamente nel tanto decantato “modello lucano” di gestione del petrolio, prestano il fianco a riflessioni, puntualizzazioni che i dettami di una corretta informazione impongono di non omettere. Volendo restare estranei alle diatribe dialettiche ed alle polemiche politiche riguardanti la reale situazione economico-occupazionale derivante dall’ “oro nero”, corre l’obbligo di porre l’accento sulle scottanti tematiche ambientali, troppo spesso sottaciute o relegate in qualche comodo dimenticatoio e che sempre più spesso, peraltro inspiegabilmente, sono soggiogate da preconfezionata disinformazione. E’indubbio, infatti, che il ritrovamento del petrolio nella Val d’Agri ha mutato radicalmente le prospettive di crescita e di conseguenza creato un impatto di tipo antropico su un ambiente particolarmente rivolto agli aspetti agricoli e paesaggistici. E’ agevole comprendere e ragionevole sostenere, dunque, come di precipua importanza, prima ancora che riuscire a “strappare” concessioni peraltro marginali ed irrisorie o inseguire affannosamente un malcalcolato miraggio occupazionale, sia la necessità di rendere compatibili le attività di ricerca, sfruttamento e trasporto dei prodotti petroliferi con la protezione e conservazione degli ecosistemi terrestri ed acquatici. Precisato che le attività di monitoraggio ambientale delle aree a rischio di inquinamento da idrocarburi sono espletate nell’area delle estrazioni dall’Eni, dall’Arpab, per propria competenza, e dalla “Metapontum Agrobios”, specificatamente incaricata dalla Regione sin dal 2000 per l'esecuzione di un monitoraggio delle diverse componenti ambientali. Oltre quanto previsto dalla norme nazionali la Regione Basilicata, in considerazione dei potenziali effetti sul contesto ambientale associati alle attività petrolifere, ha avviato, sin dal 2000, numerose iniziative finalizzate alla verifica delle ricadute sull’ambiente dell’estrazione e della lavorazione del greggio. Dall’ultima nota regionale relativa all’ambiente ed alla situazione epidemiologica in Val d’Agri emerge che “le campagne di monitoraggio sinora condotte mostrano un quadro ambientale dell’area rassicurante. Gli impatti evidenziati nell’asta principale dell’Agri, a monte e a valle della diga del Pertusillo, sono ascrivibili alla presenza di sostanze derivanti dall’attività antropica correlabile alle diverse pratiche umane (agricole,civili e industriali). I risultati analizzati dimostrano che il fiume Agri durante il percorso verso la diga peggiora nel tratto a valle dell’area industriale di Viggiano. Tuttavia la elevata capacità di autodepurazione delle acque per effetto della buona condizione riparia permettono un recupero qualitativo che pone il fiume in condizioni comprese tra sufficiente e buono. I suoli analizzati non hanno mai evidenziato effetti di contaminazione preoccupanti. Le evidenze riscontrate in talune postazioni potrebbero essere attribuibili a piccole contaminazioni accidentali e limitate nello spazio e nel tempo. Il programma di indagini successive prevede oltre che una intensificazione delle indagini in aree pozzo una campagna di misure olfattometriche nelle aree di influenza del Centro Oli.” In realtà già nel 2006 una ricercatrice della “Metapontum Agrobios” a margine di un’indagine conoscitiva, condotta a partire dal 2000, scriveva: “La campagna di monitoraggio ambientale ha messo in evidenza un impatto antropico nell’asta fluviale dell’Agri a monte della diga del Pertusillo. La presenza di contaminanti nelle acque e soprattutto nei sedimenti (zone di accumulo) dei siti di studio, in direzione di Villa d’Agri e alla confluenza nella diga suddetta, confermano la presenza di zone di immissione laterale al fiume di carichi inquinanti civili e industriali. Analogamente, nell’asta fluviale del torrente Sauro che confluisce nell’Agri è stato evidenziato un carico inquinante di tipo industriale e civile soprattutto nei sedimenti. (…) Sarebbe opportuno ed interessante uno studio approfondito delle falde acquifere. (…) In vista dell’intensificazione delle attività di estrazione degli idrocarburi, diventa altresì essenziale un monitoraggio continuo delle condizioni ambientali e la rilevazione di eventuali perturbazioni indotte dalle attività antropiche, quali estrazione dei prodotti petroliferi, insediamenti abitativi, attività agricole.” Lascia basiti e provoca inquietudine l’osservazione che, confrontando gli ultimi rilievi addotti dalla Regione e quelli precedenti offerti dalla “Metapontum Agrobios”, a fronte di una costante ed incessante estrazione di prodotti petroliferi la situazione ambientale sia rimasta immutata, se non proprio migliorata, consegnandoci un quadro, dunque, palesemente poco veritiero e costruito in spregio della logica e razionalità più elementari. Fa specie, inoltre, rilevare come l’invito rivolto da accreditati esperti del settore, per quanto concerne un monitoraggio continuo e maggiormente approfondito, sia stato vanificato da soluzioni che ancora non hanno dato traccia di efficienza ed efficacia, quali ad esempio l’Osservatorio Ambientale. La Commissione degli Esperti incaricata, a suo tempo, dalla Regione Basilicata si poneva l’interrogativo della compatibilità tra ambiente e petrolio. Nel Rapporto Finale sui lavori della Commissione si legge che “dal punto di vista dei risvolti economici appare evidente che lo sfruttamento petrolifero è tendenzialmente conflittuale con lo sviluppo turistico e può avere impatti negativi sullo sviluppo della filiera agroalimentare”. Nel medesimo Rapporto si ricorda ai decisori che la Val d’Agri, e la Basilicata, sono aree “sismogeneticamente attive colpite da vasti fenomeni di dissesto idrogeologico”, in relazione al rischio di incidente e di contaminazione delle falde idriche. Lo stesso Rapporto riporta, inoltre, la classificazione degli impatti delle attività petrolifere distinguendo tra impatti derivanti da attività ordinarie (impatto paesistico durante la fase di perforazione; sottrazione di territorio valutabile in circa 25000 mq per ogni postazione petrolifera cui va aggiunta la sottrazione di spazio per la realizzazione delle strade di accesso; sottrazione di territorio derivante dalle condotte con il Centro Oli valutabile in circa 33000 mq/km; rumore dovuto all’attività dei motori elettrogeni; sottrazione di territorio per la realizzazione dell’oleodotto; produzione di grandi quantità di detriti ed inerti da opere civili; produzione di reflui derivanti dalle attività di perforazione; produzione di reflui derivanti dalle attività di trattamento che si svolgono nel Centro Oli; emissioni in atmosfera durante le fasi di perforazione ed estrazione; emissioni in atmosfera conseguenti alle attività di trattamento nel Centro Oli) ed impatti legati ad incidenti (inquinamento di falda durante la perforazione; blow-out; fuoriuscita di petrolio; incidenti in fase di rieniezione dell’acqua di processo; esplosioni e sversamenti). Per ben comprendere la ricaduta ambientale dovuta all’attività estrattiva ed al trattamento del greggio è necessario, in via del tutto preliminare, riportare sinteticamente il processo di estrazione petrolifera. La prima fase consta di attività che si svolgono prevalentemente con l’uso di esplosivo fatto detonare in pozzetti perforati nel terreno alla profondità di qualche metro, metodo però che non andrebbe utilizzato in zone che presentano rischi di natura geologica. Oggi è comunque disponibile un ulteriore tecnica che utilizza il Vibroseis, strumento che trasmette al terreno un’oscillazione a carattere ondulatorio di durata variabile tra i 7 ed i 10 secondi. Individuato il giacimento contenente il greggio si passa all’attività di perforazione che spesso comporta l’attraversamento di acquiferi sotterranei che forniscono acqua per usi potabili o industriali e che potrebbero essere contaminati. L’attività del cantiere produce inoltre un’elevata mole di rifiuti che viene raccolta in appositi vasconi e bacini di lagunaggio impermeabilizzati. Altro problema
concerne il trattamento delle acque di cantiere accumulate, dei detriti e dei fluidi di perforazione usati per garantire il normale corso dell’attività estrattiva. Il volume complessivo di questi rifiuti è valutabile nell’ordine di 6000-7000 metri cubi per pozzi di 4000 metri di profondità. Una volta estratto il greggio viene separato nella sua componente liquida, raccolta in appositi serbatoi metallici fuori terra e poi trasferita per la raffinazione in apposito centro, e nella componente gassosa sottoposta ad azione di rimozione dell’umidità. L’acqua salata generata dal processo di disidratazione viene provvisoriamente stoccata in serbatoi, prima dello smaltimento che avviene con
reiniezione nel sottosuolo o per incenerimento nei forni insieme ad altri gas. I rischi ambientali in questa fase dipendono dalle caratteristiche del territorio, dal collegamento tra i pozzi ed il centro attraverso flow-lines di acciaio che vengono interrate e dai rifiuti della centrale di raccolta. Gli scarichi liquidi sono costituiti da acque di tipo civile provenienti dai servizi della centrale per circa 5 metri cubi al giorno, da acque meteoriche e da acque di strato o formazione. Le emissioni atmosferiche sono quelle prodotte dalla combustione dei gas non utilizzati e dalle acque di strato incenerite in appositi forni e generanti composti stabili come anidride carbonica e solforosa. Ulteriori emissioni sono prodotte dalla fiaccola, dispositivo di sicurezza posto all’apice dell’impianto estrattivo. Poste queste premesse risulta subito evidente che l’attività di estrazione petrolifera è un’attività ad alto impatto ambientale, in particolare per quanto riguarda progetti
di coltivazione di idrocarburi di dimensioni quali quelli della Val d’Agri e di Tempa Rossa. Le principali sostanze inquinanti immesse nell’atmosfera a seguito delle operazioni legate all’estrazione petrolifera sono il biossido di zolfo, le particelle sospese, il metano e gli idrocarburi derivanti dai processi di combustione operati con derivati del petrolio. In modo indiretto, l’attività petrolifera crea ulteriori emissioni per effetto dei derivati del petrolio sotto forma di ossidi di azoto, di biossidi di azoto, ozono e monossido di carbonio. Non va dimenticata la grande immissione in atmosfera di inquinanti dovuta alle operazioni di carico e scarico delle autocisterne impegnate nel trasporto del greggio. E’ opportuno evidenziare i rischi sulla salute umana derivanti dalle emissioni di azoto, di idrocarburi e di biossido di zolfo in atmosfera. Il primo riduce la produttività delle culture e crea all’uomo irritazione agli occhi, sintomi alle vie respiratorie e attacchi asmatici nei soggetti più a rischio. Gli idrocarburi invece hanno effetti molto diversificati, vista l’ampia gamma di componenti; tra questi il benzene e gli Ipa sono i più pericolosi, in quanto cancerogeni per l’uomo. Il biossido di zolfo, infine, può provocare serie intossicazioni; basti ricordare che nel
Golfo Persico, nei primi decenni degli anni ’60, morirono quasi 3000 persone intossicate a causa di inquinamento di biossido di zolfo, generato dall’esplosione di una piattaforma. Ricerche inglesi ed americane hanno scientificamente dimostrato che nell’uomo esiste uno stretto rapporto tra le concentrazioni di SOx e di particolati nell’atmosfera, causa anche del fenomeno delle piogge acide, e l’insorgenza della bronchite cronica e dell’enfisema polmonare, con il raddoppio dell’indice di
mortalità per malattie respiratorie; altre ricerche hanno evidenziato un nesso tra le concentrazioni dei prodotti di combustione dell’olio e del carbone degli impianti fissi e l’incidenza delle infezioni delle vie respiratorie. Per quanto concerne, poi, il possibile inquinamento delle acque sotterranee va riconosciuto l’elevato rischio che ha l’ attività di estrazione petrolifera in un area come l'Alta Val d’Agri che ospita al suo interno alcune delle sorgenti più rilevanti dell’intero territorio regiona1e, nonché invasi dai quali dipende l'approvvigionamento idrico non solo di buona parte della Basilicata, ma anche della vicina Puglia, per un totale di circa 4,5 milioni di persone e di grosse aree coltivate come la piana del metapontino. Il greggio infatti è una sostanza caratterizzata da proprietà tipiche particolarmente inquinanti avendo una elevata persistenza, una bassa volatilità, elevata viscosità che lo rendono, in caso di rilascio in falda, difficilmente bonificabile e accertabile
solo con misure continuate e sistematiche delle caratteristiche chimico – fisiche delle acque. La distribuzione delle installazioni petrolifere, del Centro Oli e del tracciato dell'oleodotto interessa in maniera diretta le principali risorse idriche pregiate dell'area. Solo facendo riferimento a tale installazione, sempre riferendosi all'equazione del rischio, vale la pena evidenziare che un possibile incidente con rilascio di inquinante o, ad esempio, una sempre possibile non perfetta cementazione delle installazioni del pozzo, potrebbero determinare una lenta risalita di acque connate o di fluidi con caratteri chimico - fisici non compatibili con l'uso potabile ponendo in crisi l'importantissima lifeline rappresentata dall'acquedotto. Altre numerose installazioni petrolifere e il Centro Olii di Viggiano giacciono sull'acquifero alluvionale del fondovalle Agri. Uno sversamento anche episodico di idrocarburi potrebbe facilmente raggiungere il sistema delle acque mediante i diversi corsi d'acqua che attraversano la valle in sinistra del fiume Agri andando direttamente a raggiungere l'invaso del Pertusillo. Altri problemi di impatto ambientale sono relativi al dissesto idrogeologico ed alla sismicità, all’inquinamento del suolo, allo smaltimento dei rifiuti prodotti dalle attività estrattive, ai ripristini ambientali, agli effetti sulla flora e sulla fauna. Ultimamente, poi, l’Ola, l’Organizzazione Lucana Ambientalista, ha concentrato l’attenzione sulle emissioni di idrogeno solforato, un gas acido corrosivo velenoso che, se assunto in dosi elevate attraverso la respirazione ed il contatto può portare a gravi malattie a carico del sangue e del sistema nervoso, può provocare danni irreversibili che possono causare menomazioni permanenti, tumori e morte. Tale sostanza, nonostante la comprovata pericolosità, sembra non sia oggetto di costante monitoraggio e rilevazione da parte delle centraline dell’Eni e dell’Arpab.

Nuario Fortunato

Fonte: Il Quotidiano della Basilicata – Agosto 2008

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